di Maria Silvia Roveri

“Nel mondo vi sono chissà quante varietà di lingue e nulla è senza un proprio linguaggio; ma se io non conosco il valore del suono sono come uno straniero per colui che mi parla, e chi mi parla sarà uno straniero per me.”

I Corinzi 14,10-11

Nell’esecuzione musicale il musicista si imbatte in una moltitudine di linguaggi diversi che devono entrare in relazione armonica tra di loro:

  • il linguaggio del corpo, ossia la specificità dei tessuti e degli organi che lo compongono: la pelle, le articolazioni, i muscoli, gli organi interni, le ghiandole endocrine, i liquidi corporei, gli organi sensoriali, il sistema nervoso…
  • il linguaggio del suono, con la complessità e la variabilità dei suoi parametri e dei fenomeni acustici correlati: suono fondamentale, armonici, vocali, vibrato, formanti, sottoformanti, eco, riverbero, diffrazione, risonanza…
  • il linguaggio della musica, con le sue strutture melodiche, armoniche, ritmiche, agogiche, dinamiche, la prassi esecutiva, l’interpretazione, gli stili…
  • il linguaggio della lingua parlata, con l’articolazione di vocali e consonanti, con le caratteristiche fonetiche specifiche di ciascuna lingua, con il significato testuale esplicito e recondito…
  • il linguaggio della quotidianità, con le sue richieste fatte di tempi, luoghi, interazioni personali, azioni, pensieri…

Il linguaggio del corpo

Se ci rivolgiamo agli organi e ai tessuti del corpo osservandoli nelle loro caratteristiche specifiche potremo scoprire molti elementi affascinanti, che riducono però il nostro corpo ad un insieme di parti molto diverse tra loro e apparentemente non comunicanti, o comunicanti in maniera ridotta e selettiva. Questo modo di considerare il corpo separa e limita il musicista alle parti del corpo apparentemente interessate all’esecuzione musicale sul piano motorio:

  • per uno strumentista a corda saranno determinanti le mani, le spalle, le dita, la colonna vertebrale, la postura della testa…
  • per uno strumentista a fiato oltre alle precedenti saranno determinanti l’apparato respiratorio, le labbra, la cavità orale…
  • per un cantante saranno determinanti la laringe, l’apparato respiratorio, il tratto vocale…
  • per un direttore saranno le mani, le braccia, la mimica facciale…

Ma esiste un principio che all’interno del corpo è in grado di unificare tutti gli elementi e il corpo di tutti i musicisti? Esiste un principio che si ritrova costantemente, anche se sotto forme apparentemente diverse? Sul piano della materia non potremo trovare una risposta, essendo diversi i pesi, le densità, il colore, la composizione chimica, la forma, la struttura interna e la funzione degli organi, dei tessuti e degli apparati. Se lasciamo però che il nostro sguardo si sposti dalle funzioni specifiche alla modalità attraverso cui gli organi e i tessuti assolvono alla loro funzione incontriamo diversi principi comuni:

  • l’essere dotati di recettori e dunque la capacità di reagire
  • la presenza di ‘messaggeri’ e dunque il dialogo costante con gli altri sistemi
  • la costante oscillazione intorno ad un ‘punto zero’ fisiologico
  • la ciclicità dei decorsi funzionali
  • l’esistenza di determinate proporzioni ottimali
  • la presenza di una soglia funzionale flessibile e modificabile
  • il costante rinnovamento cellulare

Il linguaggio del suono

Nel considerare il suono e i fenomeni acustici ritroviamo la stessa complessità e diversità di fattori appena descritti per il corpo:

  • l’oscillazione del suono fondamentale non potrà mai raggiungere sul piano numerico quella dei suoi armonici
  • le vocali sono composte da due-tre formanti ciascuna, diverse da individuo a individuo e da nota a nota
  • ogni strumento musicale possiede una propria formante specifica
  • le sottoformanti e gli altri suoni ‘fantasma’ che vengono creati dalla nostra percezione sfuggono alla misurazione e alla definizione oggettiva
  • l’eco, il riverbero, il rimbombo e gli altri fenomeni acustici dipendono da fattori in gran parte esterni al suono stesso e con scarse possibilità di controllo diretto o manipolazione da parte dell’esecutore.

Anche per quanto riguarda il suono dobbiamo porci la domanda se esista un principio in grado di unificare tutti i fenomeni e condurli ad un livello più elevato di organizzazione.

Sul piano dei numeri, dell’aspetto esteriore e misurabile del suono non troviamo concordanza, ma se ci rivolgiamo all’insieme di relazioni che il suono intesse al proprio interno troviamo una sorprendente unità e indipendenza da fattori esterni quali la sorgente sonora o l’ambiente in cui il suono si propaga:

  • l’onnipresente principio dell’oscillazione, l’alternarsi di espansione e contrazione, percepito da tutte le modalità sensoriali sotto forma di pulsazione-vibrazione
  • il debito che gli armonici devono al suono fondamentale per il loro sviluppo e il ripresentarsi ‘immateriale’ del suono fondamentale in tutta la struttura verticale del suono nella distanza tra un armonico e l’altro
  • il principio della proporzione
  • l’importanza della forma nel determinare lo sviluppo di tutti i parametri (formanti della vocale, formanti del cantante, forma del vibrato)
  • la capacità di generare sempre nuove forme e nuova ‘sostanza’ sonora
  • la flessibilità nel reagire a minime variazioni nell’ambiente esterno o all’interno di sé stesso, che si manifesta in una grande creatività nella struttura sonora
  • l’indipendenza e la stabilità unificante delle formanti del cantante e del vibrato rispetto alla mutevolezza del suono fondamentale e delle vocali

Il linguaggio della musica

La musica presenta una variabilità di fattori ancora più elevata all’interno di sé:

  • Diverse epoche, diverse culture hanno prodotto e producono materiali musicali (musiche e strumenti musicali) anche molto lontani tra loro
  • Le aggregazioni ritmiche, melodiche e armoniche sono potenzialmente infinite
  • L’agogica e la dinamica, con la loro infinita possibilità di sfumature, fanno spesso discutere, separano gli interpreti e i loro estimatori e riempiono i libri di interpretazione stilistica o le recensioni discografiche
  • Gli esecutori si specializzano e si differenziano sempre più non solo per lo strumento suonato, ma anche per il repertorio eseguito, per la ‘corrente’ interpretativa a cui si richiamano
  • La didattica si adegua, producendo una innumerevole varietà di insegnamenti musicali e stilistici.

Ma qual è la natura profonda della musica? Da dove è nata? A quali bisogni dell’uomo risponde? A tutte e tre queste domande troviamo un’unica risposta: oscillazione.

  • L’oscillazione è il comune denominatore di ogni suono sul quale si fonda ogni musica
  • L’oscillazione è il principio costruttivo di ogni strumento musicale
  • L’oscillazione è il germe di ogni melodia, di ogni ritmo e di ogni successione armonica, i quali, nella loro infinita varietà, non sono altro che la manifestazione dilatata nel tempo della ricchezza di forme in cui l’oscillazione primaria si scompone in ogni singolo istante
  • L’oscillazione è la materia prima alchemica che viene modellata dall’agogica e dalla dinamica
  • L’oscillazione è il bisogno primario di ogni essere vivente

Il linguaggio della lingua parlata

Anche se questo linguaggio sembra essere un problema ed una peculiarità esclusiva dei cantanti, esso permea in realtà tutte le forme musicali, che nascono dagli stilemi propri della lingua parlata e da essa prendono in prestito anche gli stessi vocaboli: fraseggio, accenti forti e deboli, prosodia, metrica, “discorso” musicale, ecc.; anche lo strumentista ‘verbalizza’ l’esecuzione musicale come se stesse declamando un testo. Il linguaggio della lingua parlata sembra dunque rappresentare un mondo a sé, con regole e caratteristiche specifiche e differenziate:

  • La diversa articolazione di ciascuna vocale, di ciascuna consonante e fonema
  • Le caratteristiche fonetiche specifiche di ciascuna lingua
  • Gli influssi condizionanti della madrelingua dell’esecutore
  • Il modo tipico di cadenzare o cantilenare di ciascuna lingua
  • Il rendere chiaro il significato testuale esplicito e recondito
  • Il conferire carattere emozionale-espressivo al testo

La voce si è sviluppata molto prima dello sviluppo del linguaggio, e la voce cantata prima della voce parlata. È plausibile che le prime forme linguistiche di comunicazione verbale all’interno della specie siano consistite in lunghe vocalizzazioni, tramite le quali gli individui comunicavano agli appartenenti al proprio gruppo i propri stati o i propri bisogni. La ricchezza comunicativa contenuta in un unico suono si è un po’ alla volta concretizzata in una varietà sempre maggiore di qualità sonore corrispondenti alla crescente consapevolezza acquisita dagli individui delle sfumature esistenti tra stati e bisogni diversi. Da qui lo sviluppo delle lingue specifiche all’interno di ciascun gruppo, che si differenziava così dagli altri gruppi. La comparsa delle consonanti ha ulteriormente sancito lo spezzettamento temporale delle originarie vocalizzazioni, mentre lo sviluppo delle aree linguistiche negli emisferi cerebrali, soprattutto quelle dell’emisfero sinistro, ha allontanato sempre più l’individuo dall’origine “sonora” e musicale del linguaggio parlato.

Il successivo progressivo sviluppo dell’emisfero sinistro come emisfero dominante nell’esecuzione musicale ha allontanato sempre più il musicista dal contatto della parola con la vibrazione del suono, “obbligandolo” a compensare questa perdita con il “surrogato” dell’articolazione esagerata, dell’intenzione e “verbalizzazione” musicale, dell’espressività del testo, della fedeltà al personaggio, ecc.

Come ritrovare dunque l’unità all’interno della lingua parlata e tra le lingue del mondo? È necessario riconoscere gli elementi originari da cui esse sono scaturite:

  • la vocalizzazione cantata, ossia l’oscillazione regolare, ininterrotta ed equilibrata delle corde vocali nella laringe
  • lo sgorgare del suono dagli strati cerebrali più profondi (tronco cerebrale e sistema limbico), e quindi la sua valenza nel comunicare stati e bisogni profondi dell’individuo
  • il ruolo originario delle consonanti di “con-suonare” insieme alle vocali, di essere cioè elementi di arricchimento sonoro e frequenziale e non di frammentazione
  • lo stretto legame tra vibrato vocale e articolazione sillabica
  • la funzione del vibrato nella trasmissione di contenuti emozionali

Il principio dell’oscillazione ricompare ancora una volta come un denominatore comune di funzioni apparentemente tanto diverse.

Il linguaggio della quotidianità

Con la voce parlata siamo già approdati nel mondo della quotidianità, dove essa regna sovrana nella comunicazione sociale tra le persone. Il mondo della quotidianità è però costellato da un’infinità di altri fattori che sembrano non avere molto a che fare con la musica:

  • la presenza del tempo e degli orari, ossia la manifestazione esterna di un vivere proiettati in avanti sulla linea temporale o nel rimpianto-rimuginare del passato
  • il rispetto di convenzioni e aspettative sociali, ossia il vivere costantemente nelle proiezioni esterne a sè
  • la dominanza della logica e della razionalità e la repressione del paradosso, della non-logica, del non-comprensibile
  • l’ininterrotto chiacchiericcio mentale e il soffocamento del pensiero per immagini e sensazioni
  • il controllo a cui vengono sottoposte le proprie parole, le proprie azioni, le proprie emozioni, le spontanee manifestazioni del sistema vegetativo
  • la dominanza del piano dell’intenzione destinata a produrre un determinato effetto, ossia la dominanza della motricità rispetto alla sensorialità
  • la mancanza di contatto con il proprio interno

Il musicista che viva questo universo di fattori diversi separato dal momento musicale non potrà che vivere un’ulteriore scissione all’interno di sé. La musica, la vibrazione e l’oscillazione sono fattori talmente totalizzanti che non è possibile essere un artista “ad ore”, entrare in uno stato di profonda fusione tra corpo, suono e strumento nel momento dell’esecuzione musicale, e ripiombare nell’estraneità e nella separazione per il resto della giornata.

Lo stress che il mondo della quotidianità trasferisce nel mondo della musica si riconosce dalla presenza di termini quali:

  • intenzione musicale,
  • applicarsi,
  • adattarsi,
  • correggersi,
  • controllare,
  • rispettare,
  • esercitarsi,
  • sforzarsi,
  • interpretare,
  • virtuosismo
  • appoggio,
  • sostegno,
  • pulizia,
  • precisione,
  • concentrazione,
  • perfezione

Fermiamoci un attimo e chiediamoci qual è stata la reazione dei nostri tessuti interni a questi termini. Riconosciamo in questa sensazione interna uno stato di benessere? È questa reazione che ci attendiamo di lasciar crescere dentro di noi nel fare o ascoltare musica? Poniamoci ora un’altra serie di termini, dandoci qualche secondo per ciascuno di essi e osserviamo ancora qual’è la reazione dei nostri tessuti interni:

  • dedizione,
  • neutralità,
  • lasciar accadere,
  • vitalità,
  • vibrazione,
  • equilibrio,
  • calma…

Chiediamoci ancora se da qualche parte al nostro interno vi è una sensazione che ci dice “così sto bene”. È questa reazione che ci attendiamo di lasciar crescere dentro di noi nel fare o ascoltare musica? Quale di queste due serie di termini è in grado di unire la nostra quotidianità con il far musica? Quale di queste due serie di termini è più vicina all’oscillazione ad alta frequenza del suono?

Corpo, suono, musica, lingua parlata e quotidianità hanno quindi ciascuno una propria grammatica, e questi diversi linguaggi devono fondersi l’uno nell’altro se non vogliamo sperimentare una inevitabile scissione e sofferenza nell’esecuzione musicale. Se non trovassimo una lingua comune tra questi sistemi così complessi e diversi, limiteremmo la nostra crescita evolutiva; questo accadrebbe se ogni linguaggio volesse mantenere la propria specializzazione, il che in realtà significa soprattutto voler mantenere delle abitudini molto radicate ed ha la sua origine nella paura, perchè con ciò che già so mi posso sempre arrangiare, con il nuovo non lo so…

Se ci orientiamo agli elementi comuni che questi linguaggi possiedono, ossia il linguaggio dell’oscillazione, nelle sue due manifestazioni vibratoria (ad alta frequenza) e pulsante, e lasciamo che l’oscillazione diventi l’ordinatore supremo a cui tutti i linguaggi si sottomettono, potremo sperimentare una fusione e un’unità al nostro interno che ci farà sperimentare una immediata sensazione di leggerezza e di appagamento.

“Apparvero loro lingue come di fuoco che si dividevano e si posarono su ciascuno di loro; ed essi furono tutti pieni di Spirito Santo e cominciarono a parlare in altre lingue come lo Spirito dava loro il potere d’esprimersi. (…) La folla si radunò e rimase sbigottita, perché ciascuno li sentiva parlare la propria lingua”

(Atti 2, 3-6)

Che i linguaggi del corpo e del suono incontrino la musica e la vita è in realtà una sfida immensa…

Maria Silvia Roveri – novembre 2007

P.S. Il germe da cui questo scritto è fiorito risale ad alcune lezioni e conversazioni con Gisela Rohmert che hanno avuto luogo tra il 1997 e il 1999; a lei il mio riconoscimento, affetto e gratitudine.

I linguaggi della musica