di Maria Silvia Roveri

1° parte: I linguaggi

 Nell’esecuzione musicale il musicista si imbatte in una moltitudine di linguaggi diversi che devono entrare in relazione armonica tra di loro:

  • il linguaggio del corpo, ossia la specificità dei tessuti e degli organi che lo compongono: la pelle, le articolazioni, i muscoli, gli organi interni, le ghiandole endocrine, i liquidi corporei, gli organi sensoriali, il sistema nervoso…
  • il linguaggio del suono, con la complessità e la variabilità dei suoi parametri e dei fenomeni acustici correlati: suono fondamentale, armonici, vocali, vibrato, formanti, sottoformanti, eco, riverbero, diffrazione, risonanza…
  • il linguaggio della musica, con le sue strutture melodiche, armoniche, ritmiche, agogiche, dinamiche, la prassi esecutiva, l’interpretazione, gli stili…
  • il linguaggio della lingua parlata, con l’articolazione di vocali e consonanti, con le caratteristiche fonetiche specifiche di ciascuna lingua, con il significato testuale esplicito e recondito…
  • il linguaggio della quotidianità, con le sue richieste fatte di tempi, luoghi, interazioni personali, azioni, pensieri…

Il musicista che viva questo universo di fattori diversi separato dal momento musicale non potrà che vivere un’ulteriore scissione all’interno di sé. La musica, la vibrazione e l’oscillazione sono fattori talmente totalizzanti che non è possibile essere un artista “ad ore”, entrare in uno stato di profonda fusione tra corpo, suono e strumento nel momento dell’esecuzione musicale, e ripiombare nell’estraneità e nella separazione per il resto della giornata.

Corpo, suono, musica, lingua parlata e quotidianità hanno quindi ciascuno una propria grammatica, e questi diversi linguaggi devono fondersi l’uno nell’altro se non vogliamo sperimentare una inevitabile scissione e sofferenza nell’esecuzione musicale.

Se ci orientiamo agli elementi comuni che questi linguaggi possiedono, ossia il linguaggio dell’oscillazione, nelle sue due manifestazioni vibratoria (ad alta frequenza) e pulsante, e lasciamo che l’oscillazione diventi l’ordinatore supremo a cui tutti i linguaggi si sottomettono, potremo sperimentare una fusione e un’unità al nostro interno che ci farà sperimentare una immediata sensazione di leggerezza e di appagamento.

2° parte: La relazione del musicista col suono

Di fronte al tema circa la relazione del musicista con il suono, sia egli cantante, strumentista o direttore, dobbiamo porci una domanda chiave: nella relazione con il suono il musicista soddisfa un bisogno di prestazione o un bisogno di amore, vitalità e piacere?

Per poter dare una risposta a questa domanda il musicista deve poter conoscere precedentemente alcuni livelli, ciascuno dei quali contiene a sua volta le seguenti domande:

  • Quale relazione ho con me stesso?
  • Quale relazione ho con il mio corpo?
  • Quale relazione ho con il mio strumento?
  • Quale relazione ho con il suono?
  • Quale relazione ho con il mio suono?

Al primo livello troviamo un musicista che, competente sul piano delle acquisizioni musicali e tecniche del proprio strumento, si pone di fronte ad uno spartito musicale senza una reale consapevolezza del proprio corpo e del proprio suono, affidandosi alla tecnica acquisita, all’istinto e al ‘talento’ naturale più o meno elevato.

Al secondo livello il musicista è consapevole della complessità del suono, del corpo e delle loro interazioni. Questa consapevolezza nasconde però un’insidia: la presunzione di poter controllare e dominare tutto ciò di cui si diventa consapevoli, di poter ‘manipolare’ a piacere il proprio corpo e il proprio suono, anche se in maniera molto raffinata, la presunzione di essere onnipotenti e invulnerabili.

Al terzo livello troviamo un musicista che, avendo acquisito una certa consapevolezza del proprio corpo e del suono, riconosce come all’interno di esso esistano strutture gerarchicamente distinte: il suono fondamentale e la vocale da una parte, il vibrato e la brillantezza dall’altra.

Nonostante il terzo livello possa essere già un livello altamente desiderabile, in grado di restituire al musicista il piacere della musica e di liberarlo dalla morsa del controllo e della manipolazione, esso non rappresenta ancora il piano più elevato dello sviluppo. Per poter conoscere il quarto livello dobbiamo rivolgerci al corpo e chiederci quali siano gli organi da cui scaturiscono i parametri più elevati del suono e in grado di regolarli: essi sono gli organi sensoriali, e più precisamente la diffusissima rete di nervi sensitivi e recettori sensoriali di cui è percorso il nostro corpo. Essi rappresentano il ponte che mette in relazione il mondo esterno col nostro mondo interno, che spalanca la porta su una ricchezza di forme, sensazioni, immagini, fenomeni, per nulla inferiori a quanto accade nel mondo esterno, ma di natura molto diversa e sottile.

Dell’ulteriore livello di sviluppo posso solo accennare, perché le parole non sono sufficienti per descriverlo, perché esso non può essere compreso dall’intelletto e perché io stessa, pur intuendolo e ‘assaggiandolo’ ricorrentemente, sono in realtà ancora lontana da esso nella quotidianità di ogni istante. In esso il musicista vive l’esperienza profonda della simbiosi tra sé, il suono, il corpo, lo strumento e la musica. Il musicista che sperimenta anche solo una volta l’immensa forza espressiva e trasformatrice che nasce dall’entrata in risonanza di parti molto profonde dentro di sé sente nascere un fascino e un’attrazione tali verso di essa da trasformare il far musica, il suonare e il cantare in un intenso bisogno esistenziale.

 P.S. Il germe da cui questo scritto è fiorito risale ad alcune lezioni e conversazioni con Gisela Rohmert che hanno avuto luogo tra il 1997 e il 1999. Esse sono state intensa fonte di ricerca ed ispirazione nella mia relazione con la musica negli anni che seguirono e fino ad oggi.

Il musicista e la musica- estratto