La Funzionalità Vocale: apparenze o natura profonda?

 di Maria Silvia Roveri

La funzionalità dei muscoli

Il termine funzionalità è vasto ed abbraccia campi apparentemente molto distanti tra loro; in questa vastità vi sono dei termini che gli vengono correntemente affiancati: efficienza, per esempio, od ottimizzazione. Essi indicano che sono disponibili determinate risorse ed esse possono essere ottimizzate e portate al massimo livello. Questo livello viene sempre inteso in relazione all’oggetto o alla persona coinvolta, ottimizzare significa cioè ottenere il massimo per quella persona. L’ottimizzare si lega quindi strettamente al talento, all’essere o al non essere dotati per una certa funzione/abilità. Poi abbiamo il termine prestazione, e funzionale diventa ciò che mi permette di raggiungere una certa prestazione.  In questo concetto di funzionalità i muscoli vengono caricati di un’importanza eccessiva, il che è anche comprensibile, dal momento che, di tutto ciò che sta all’interno del corpo umano, i muscoli sono le uniche componenti sulle quali abbiamo la sensazione di poter esercitare un qualche controllo o dominio.
Le altre componenti del nostro corpo, il sistema nervoso, le ossa, i tessuti connettivi, gli organi interni, sono elementi che non possiamo dominare, non possiamo sottoporre alla nostra volontà. In una mentalità che si rivolge al musicista come a una macchina, l’unica parte che sembra accessibile rimane quindi proprio quella muscolare.

La conseguenza di questo concetto limitato di funzionalità è che la pedagogia vocale prende in prestito molti modelli dalla pedagogia dello sport e anche in campo musicale troviamo termini quali allenamento, training, esercizio, riscaldamento. Il che, tradotto nella pratica pedagogica quotidiana, significa fare molto, agire molto, muoversi molto. Anche il riscaldamento vocale viene inteso come un riscaldamento dei muscoli. Se però guardiamo la fisiologia degli organi vocali non troviamo nessun muscolo che sia “allenabile”, perché i muscoli fonatori non hanno bisogno di essere allenati. Un neonato può urlare per ore senza arrochirsi. Se dobbiamo urlare perché subiamo un’aggressione, possiamo farlo istantaneamente. È per rispondere al principio di sopravvivenza che l’organo vocale è pronto ad ottenere suoni di notevole intensità e portanza in qualsiasi momento senza preparazione.

La funzionalità dei recettori laringei

Per poter comprendere queste affermazioni dobbiamo avvicinarci un po’ di più alla realtà dei muscoli laringei interni; se li guardiamo nelle loro apparenze, vedremo che ogni muscolo ha una funzione determinata: il muscolo vocale determina la massa interna delle corde vocali, i muscoli tiroaritenoidei laterali sono al servizio di una adduzione più efficiente e sensibile, il muscolo cricotiroideo ne regola la lunghezza, il muscolo cricoaritenoideo posteriore ne permette l’apertura, ecc. Ma oltre le apparenze esiste una realtà molto più profonda e paradossale: la laringe è un organo interno dotato di muscolatura striata, la muscolatura che soggiace ordinariamente alla volontà, mentre gli altri organi interni sono dotati di muscolatura liscia, non azionabile volontariamente. Possiamo decidere con la volontà quando iniziare e quando smettere di cantare, o come regolare l’altezza di una nota; possiamo scegliere di modulare l’intensità del suono, ma il controllo volontario si ferma qui. La regolazione fine volontaria della muscolatura laringea interna tramite i muscoli stessi non è possibile, perché la muscolatura laringea, grazie alla ricchezza di recettori (recettori dell’allungamento, recettori articolatori e recettori della mucosa), è prima di tutto una muscolatura che agisce di riflesso. Di fronte a tale realtà, la pedagogia vocale che allena dei muscoli è impotente. È necessario un modello pedagogico in grado di stimolare adeguatamente e raffinatamente i recettori laringei.

Riconsiderando la fisiologia dei muscoli, possiamo dividerli in altre due categorie: muscoli da lavoro e muscoli per la motricità fine. I muscoli da lavoro, ad esempio i muscoli delle gambe o del tronco, possiedono una dotazione recettoriale ridotta, sono quindi muscoli non dotati di una grande sensibilità, mentre la laringe, la mano, l’orecchio, la lingua, la mandibola, le labbra, sono tutti organi dotati di un’elevata attrezzatura recettoriale e quindi altamente raffinati e sensibili. In altre parole, tutti gli organi importanti per un musicista e per un cantante sono anche organi altamente sensibili!

Ritornando al termine funzionalità, è necessario uscire dal binomio con un atto motorio volontario, per approdare ad una funzionalità che agisce di riflesso. In questo caso non possiamo più parlare di azione, ma di re-azione. Non si tratta di una sottigliezza linguistica, dal momento che le conseguenze sul piano pedagogico sono enormi: nell’azione è sottintesa un’intenzione e un percorso che da me va verso l’esterno, mentre nella reazione è sottintesa una disposizione a ricevere informazioni e un percorso che dall’esterno va verso l’interno. Ciò che cambia è la disposizione interna: il mio agire avviene sulla base di una reazione e l’impulso neurologico primario inverte la propria direzione.

La funzionalità degli organi sensoriali

A questo punto non possiamo più parlare di funzionalità dei muscoli, ma di funzionalità degli organi sensoriali. Gli organi sensoriali sono un plotone molto più numeroso dei cinque sensi comunemente descritti: vista, udito, tatto, gusto, olfatto. Ogni funzione del nostro organismo viene regolata dai recettori specifici inseriti nei vari organi. Se alcuni di essi (ad esempio i recettori chimici) risiedono nettamente al di sotto della soglia della nostra coscienza, per altri recettori (ad esempio i fusi neuromuscolari) questa soglia è molto più labile ed ‘educabile’, permettendo loro di ‘rivelarsi’ nella propria affascinante vitalità.

Per comprendere come sia possibile che i sensi diventino la chiave di volta di una pedagogia vocale funzionale, dobbiamo allargare ulteriormente la nostra prospettiva. I sensi che ci proiettano all’esterno vengono ordinariamente descritti come ‘campanelli d’allarme’; nella letteratura scientifica la loro funzione primaria assolve al compito di rilevare costantemente la presenza di oggetti o situazioni potenzialmente dannose: annusare un odore sospetto, riconoscere nel gusto un cibo avariato, percepire la presenza di una fonte di calore eccessivo, udire l’avvicinarsi di un pericolo, ecc. Sul piano fisiologico gli organi di senso vengono descritti al servizio dell’orientamento nella realtà esterna; essi analizzano, scrutano, valutano, giudicano. Non vi è nulla di male in tutto ciò. La nostra evoluzione vi è debitrice e dobbiamo la nostra sopravvivenza a questa capacità di valutare costantemente la realtà esterna e reagire di conseguenza.

Ma gli organi di senso non sono solo questo: essi hanno una elevata capacità di fornirci una miriade di informazioni riguardanti il nostro mondo interno. Esiste cioè anche una sensorialità interna. Fin da piccoli noi veniamo educati a percepire l’esterno con i nostri sensi, ma nessuno mai ci pone domande o si interessa a riguardo di ciò che sentiamo all’interno. Anche quando incontriamo un amico e gli chiediamo “Come stai?”, non solo essa è perlopiù una pura formula di cortesia, ma quando rispondiamo “Bene, grazie”, non siamo veramente consapevoli nemmeno di come ci sentiamo noi stessi. Se cioè incominciassimo a farci delle domande più precise su come stiamo, su come ci sentiamo al nostro interno, incominceremmo a essere molto vaghi e a dover riconoscere che alla fin fine non sappiamo dire esattamente come stiamo.

Solitamente incominciamo ad accorgerci di come stiamo dentro, quando ci ammaliamo, quando qualcosa improvvisamente fa male, oppure abbiamo eseguito un’attività e ci accorgiamo di aver sforzato, di aver fatto fatica. Cioè utilizziamo anche i sensi interni come campanelli di allarme che ci avvertono quando qualcosa non va, ma non li utilizziamo per ricevere informazioni sulla nostra quotidianità, sullo stato ordinario nel quale ci troviamo, informazioni costanti su come ci sentiamo quando per esempio incontriamo una persona, o quando siamo di fronte ad un bel paesaggio, o veniamo chiamati per un’interrogazione, ecc. Noi siamo continuamente pervasi e attraversati da una serie di reazioni e sensazioni interne rispetto alle quali non siamo presenti, né consapevoli. Possiamo senza timore affermare che perdiamo costantemente qualcosa di importante nella nostra vita.

Una pedagogia che rispetti la realtà profonda dell’organo vocale, ossia la sua sensorialità fine e sensibile, necessita quindi del risveglio di questo mondo sensoriale interno, della capacità di sentire laddove apparentemente non vi è nulla da sentire. Tutti noi abbiamo sicuramente fatto l’esperienza, nel corso della nostra vita, di non avere sempre lo stesso livello di coscienza nei confronti dei nostri sensi; ci sono alcuni momenti nei quali siamo estremamente sensibili e altri nei quali sentiamo di essere meno consapevoli. La nostra coscienza, già a un livello ordinario, oscilla costantemente. Ma essa può espandersi! Possiamo non solo rispettare la fisiologia, ma andare alla scoperta, andare incontro a ciò che avviene all’interno di noi stessi. Come esseri umani possiamo sentirci più ampi, più pieni, più vivi, più ricchi.

La realtà profonda della laringe

Comprendiamo a questo punto come la laringe nasconda in sé una realtà funzionale molto più profonda rispetto alle apparenze. Guardando la laringe dall’alto mentre le corde vocali sono in oscillazione, quello che vediamo non è molto diverso da un’immagine statica, perché l’apertura-chiusura delle corde vocali è così veloce che non possiamo vederne i singoli movimenti; ciò che ci appare è piuttosto l’immagine di un fremito che ci segnala la vitalità che è in corso (anche quando guardiamo le ruote di un’auto in corsa, noi non ne vediamo il movimento, ma l’eccitazione). L’oscillazione delle corde vocali è quindi apparentemente statica, ma in essa risiede un’enorme vitalità, che non è data solo dall’apertura-chiusura delle corde vocali, che avviene nell’ordine di centinaia di volte al secondo, ma, in maniera ancor più rilevante, dall’onda mucosa e dalla sua oscillazione indipendente rispetto alle contrazioni dei muscoli laringei; la mucosa è in grado di oscillare nell’ordine di migliaia di volte al secondo. All’interno della laringe, anche solo considerando la velocità di questi processi, è presente una vitalità che ci permette di affermare che il loro controllo muscolare volontario è impossibile. Ma perché nel mondo della musica – cantanti o strumenti non vi è differenza – siamo arrivati a ridurre questi organi così raffinati – mani e laringe – al piano dei muscoli? Perché siamo arrivati a considerare un artista e gli aspetti artistici e musicali nello stesso modo con cui consideriamo un lavoratore pesante, che non ha bisogno di una qualità di lavoro così sensibile?

La pedagogia vocale è un monologo o un dialogo?

Molta pedagogia vocale contemporanea si basa sugli esiti della ricerca scientifica anatomo-fisiologica, una ricerca a senso unico, una ricerca monologica. Il ricercatore indaga un oggetto (sezionando un cadavere o inserendo un sensore in una persona viva, o analizzandone il suono), ma manca la direzione di ritorno, manca il dialogo, cioè nessuno chiede alla persona stessa come si sente mentre avviene una certa cosa, che relazioni sente avvenire nel corpo. Il cantante o il musicista vengono indagati come se fossero una macchina o un oggetto.

È solo rivolgendoci alla sensorialità e alla ricchezza di informazioni che essa è in grado di fornirci, che noi introduciamo un dialogo. Un dialogo che si dedica alle sensazioni provenienti non solo dalla laringe, ma da tutto il corpo, perché diventa impossibile, nel dedicarsi alla sensorialità, stabilire un confine netto tra gli organi. Nella laringe, per esempio, se ci chiediamo dove inizia o finisce la laringe, sul piano dei muscoli la risposta è molto semplice, ma sul piano delle mucose non vi è separazione. Chi stabilisce dove e cosa dobbiamo sentire? Chi stabilisce fino a dove vale la pena di sentire? Nel dedicarci alle sensazioni interne scopriamo un mondo che vuole essere risvegliato e toccato nella sua interezza, e non sopporta di venir ristretto ad un solo ambito. La resistenza del mondo scientifico di fronte a queste affermazioni è comprensibile e giustificata dal fatto che la scienza è abituata a misurare, giudicare, valutare, catalogare, suddividere, mentre il mondo delle sensazioni non è né misurabile, né sezionabile, né catalogabile in maniera netta. Nella mentalità cartesiana della quale siamo tutti impregnati, questo risveglio della sensorialità interna come guida delle funzioni corporee fa paura e suscita perplessità.

Il potenziale umano vuole potersi espandere

La ricerca soffre spesso di un altro limite: essa registra ciò che avviene nella media della popolazione, ma non indaga il potenziale umano. Se guardiamo ciò che accade nella media della popolazione e identifichiamo quella media con la nostra meta, perdiamo inevitabilmente una grossa parte di noi stessi. Anche il concetto corrente di funzionalità descrive ciò che avviene nella media della popolazione. Se un certo valore viene riscontrato nella media della popolazione esso viene indicato come il valore di riferimento. Se gli stili di vita cambiano e questo valore cambia, anche gli indicatori si adattano, innalzando o abbassando il valore medio. Il paradosso è che questo valore medio è un valore statistico che non compare mai nella realtà. Noi ci chiediamo se esista qualcosa di più elevato rispetto a questo valore medio, cioè se l’uomo, nel suo potenziale evolutivo, può attendersi qualcosa di più rispetto ad esso, se esista qualcosa di più grande rispetto al semplice star bene. Come uomini ci sentiamo confusi, perché non sappiamo immaginare cosa voglia dire stare ancora meglio. Esso risiede al di là della nostra esperienza quotidiana. Nonostante ciò questo mondo non solo ci affascina, ma ci appare inesplorato e illimitato, nella funzione laringea, così come in tutte le altre funzioni del corpo.

Volendo parlare di un nuovo concetto di funzionalità, abbiamo un’immagine elegante e delicata, dal forte significato simbolico, ossia l’immagine della rete di fibre e cellule nervose che percorrono il nostro corpo. Nel momento in cui ci dedichiamo ai sensi, il piano di lavoro non è più motorio-muscolare, ma diventa un piano neurologico. I recettori sensoriali non sono altro che estensioni del sistema nervoso, che gli inviano costantemente segnali. Percependo noi stessi, cogliamo non più l’apparenza esterna delle funzioni, ma la loro vita interiore.

Il compito della pedagogia vocale

Sul piano pedagogico nasce un’enorme scommessa: come possiamo noi uomini – educati fin dall’infanzia a dividere, separare, scrutare, analizzare – educarci alla sensorialità interna come guida dei processi vocali? Vi sono alcune condizioni che possono essere definite come funzionali:

  • Lo sviluppo della percezione interna (una propriocezione estesa). Essa, a differenza della percezione esterna che si focalizza su un oggetto e va il più vicino possibile all’oggetto della propria analisi, lavora in maniera opposta, ossia diventa sempre più precisa mano a mano che ci si allontana dall’oggetto della percezione. Il suo essere precisa nasce dal suo essere distaccata; in essa il mio sguardo sarà in grado di abbracciare molti più elementi e di coglierne le relazioni.
  • Il permettere i processi di autoregolazione. Tutte le funzioni e i processi che hanno luogo all’interno del nostro corpo avvengono in maniera autoregolantesi; il nostro compito più elevato è imparare a disturbarli il meno possibile. Contemporaneamente è necessario che il controllo e la volontà dei muscoli mollino la loro presa. Essi sono comparsi solo recentemente rispetto ai milioni di anni della nostra storia evolutiva e non hanno nulla a che fare con la realtà profonda dei nostri organi interni; nonostante ciò dominano la scena delle nostre azioni e della nostra quotidianità.
  • Il diminuire il senso di responsabilità, perché esso si trasforma in noi in qualcosa di appiccicoso, di gravoso, invece di renderci liberi. Nella nostra mentalità corrente “essere responsabili” significa “fare qualcosa per…”. Ogni volta che sentiamo il bisogno di “fare qualcosa per…”, siamo di fronte a qualcosa che nel nostro corpo soffre. Il suono, l’oscillazione ad alta frequenza è in grado di assumersi la responsabilità nei confronti dei processi interni.
  • La crescita del senso di fiducia, ma non una fiducia intellettuale, bensì una fiducia biologica. Paragoniamo questa fiducia al lombrico tagliato in due, nel quale ogni cellula sa di poter ricrescere nella testa e nella coda. La stessa fiducia abita anche in noi, dobbiamo solo farle spazio.
  • La dedizione. Non veniamo miracolati in questo cammino. Se non ci dedichiamo a questo lavoro non cambierà nulla nella nostra voce, nella nostra laringe, nella nostra vita. Questa dedizione sarà però diversa rispetto a quella richiesta normalmente a scuola o nel lavoro e che utilizza parole quali esercizio, sacrificio, impegno, ecc. Questa dedizione non conosce sacrificio, impegno, sforzo, perché è sostenuta dalla fascinazione per il risveglio del mondo interno e per il suono.

La funzionalità del suono

Il suono è un’entità complessa: in esso si possono riconoscere non solo vari parametri (i suoi ‘organi’), non solo i caratteri tipici di formazione e sviluppo di ciascuno di essi (la loro ‘fecondazione-nascita-crescita-maturazione’), non solo una complessa rete di caratteristiche e relazioni tra essi che rendono ogni suono unico, come unico è ogni individuo, ma nel suono è possibile riconoscere vere e proprie funzioni assolte al proprio interno dai singoli parametri e costituenti, al servizio della propria stessa esistenza, del proprio sviluppo e della relazione con l’esterno, sia esso il corpo dell’esecutore o l’ambiente in cui il suono si manifesta.

In questa sintetica esposizione cercherò di illustrare quali siano le fondamenta ‘sonore’ di una pedagogia vocale e strumentale che si rivolga al suono come proprio partner privilegiato, rispettandone la complessità e risvegliandone le grandi potenzialità.

Il potere del suono

Del potere della musica e del suono è testimone la vastità di miti, leggende, detti e saggezze provenienti e appartenenti a tutti i popoli e culture della terra, di ogni tempo e luogo. Anche l’atto della Creazione viene quasi ovunque fatto risalire ad un primo suono generatore: “All’inizio era il Verbo”. In India il suono primordiale è nada, che in sanscrito significa vibrazione. I Sufi lo chiamano il suono ‘astratto’: ‘Anahad’, il suono illimitato. Il quarto chakra è ‘Anahata’, che significa ‘risuonante senza percussione’.

Se potessimo vedere le molecole d’aria oscillanti di un suono saremmo incantati dal riconoscere in esse la perfetta forma di un mandala, il simbolo sopra tutti i simboli: il centro e il vuoto vibrante intorno ad esso.

Il mito di Anfione ci racconta che egli costruì la città di Tebe facendo muovere le pietre con la sua lira, Orfeo ammansiva le bestie feroci, il canto di Arione richiamò i delfini che lo salvarono dall’annegamento. I limiti della percezione ordinaria e degli strumenti tecnici di misurazione non ci permettono di concepire intellettualmente o giustificare strumentalmente l’esistenza reale e non solo metaforica di simili fenomeni, ma l’abbondanza dei miti, uniti all’esperienza personale raccolta nel dedicarsi al suono, ci suggerisce l’esistenza di forze realmente simili a quelle descritte.

Le lunghe ore dedicate al canto nei monasteri di tutte le religioni testimoniano anche come un autentico cammino spirituale sia inscindibile dal contatto con la vibrazione e dallo scioglimento delle tensioni che si annidano in laringe.

Tutta la pedagogia della funzionalità vocale ruota intorno al suono quale elemento rivelatore, ordinante e guida di tutti i processi e le trasformazioni. Esso non si limita a rendere udibile quanto avviene nel corpo, ma diventa il vero ‘maestro’ in grado di mostrare la via per affrontare e risolvere i problemi vocali e guidare il suono verso un’oscillazione sempre più complessa ed elevata.

I fenomeni acustici e la relazione del musicista con il suono

Il suono viene definito come la sensazione prodotta da vibrazioni che determinano compressioni e decompressioni alternate nell’aria circostante il timpano, cioè fasi alterne di condensazione e rarefazione delle molecole. Questa asciutta definizione è molto lontana dalla moltitudine di sensazioni e di esperienze che ogni musicista, ma anche un semplice ascoltatore, potrebbe riferire intorno al fenomeno suono. Tutte le informazioni tecniche che forniremo di seguito vanno quindi ‘tradotte’ nel linguaggio della propria esperienza quotidiana con il suono.

La lunghezza delle onde acustiche è in relazione alla loro frequenza: frequenze gravi hanno lunghezze d’onda di alcuni metri mentre le frequenze acute hanno lunghezze d’onda di pochi centimetri o millimetri. La conseguenza più immediata è che la possibilità di riflessione delle frequenze acute è enormemente maggiore rispetto alle frequenze gravi. Non parliamo qui evidentemente solo della frequenza fondamentale, ma della ricchezza di armonici all’interno del suono: gli armonici più elevati, avendo lunghezze d’onda molto più corte, hanno molte più probabilità, non solo di venire restituite alla percezione dell’esecutore, ma di poter entrare più in profondità negli organi e nei tessuti corporei.

L’ampiezza dell’onda viene definita come la massima escursione della pressione dell’aria prodotta da un suono nei due sensi. Essa è responsabile in larga parte della sensazione uditiva di intensità sonora, che viene però a sua volta fortemente condizionata dalle caratteristiche percettive dell’orecchio, dall’interazione dei vari fenomeni acustici e dall’attivazione di tutti i recettori sensoriali: le frequenze acute hanno, per esempio, una capacità molto più elevata delle frequenze gravi di ‘penetrare’ all’interno dell’orecchio e dei tessuti corporei, rendendosi intensamente udibili anche se la loro reale pressione acustica è scarsa.

Propagazione delle onde sonore – la realtà dell’oscillazione

Non vi è nulla di più lontano dalla realtà fisicale del suono, dell’immagine che esso si propaghi linearmente in un’unica direzione. Le oscillazioni che sono nell’aria sono come delle piccole sfere in grado di propagare il loro movimento in tutte le direzioni alle altre sfere-molecole adiacenti. Eppure, nonostante questa realtà fisica, il cantante o il musicista che si presentano su un palcoscenico, ‘proiettano’ idealmente il suono verso la platea, investendo tutta la propria energia sonora in un’unica direzione. Ma il propagarsi materiale del suono in tutte le direzioni comprende anche la propagazione all’interno del corpo stesso di chi canta o suona: è questo il primo momento di relazione che il musicista instaura con il proprio suono. Il proprio corpo è inoltre il primo ‘risonatore’ che egli mette a disposizione. Quanto il musicista dipenda da un’immagine mentale lineare si riconosce dal suo bisogno di intervenire fisicamente nella produzione del suono: appoggio, sostegno, articolazione, pressione, controllo sono alcune delle conseguenze della necessità di ‘sostenere’ e alimentare costantemente il ‘flusso’ di suono.

Riflessione delle onde sonore

Tutte le superfici con le quali il suono entra in contatto, hanno più o meno la capacità di rifletterlo; è questa un’esperienza che chiunque può fare cantando di fronte ad una parete: avvicinandosi e allontanandosi cantando da essa il suono subirà delle fluttuazioni corrispondenti al continuo variare delle lunghezze d’onda preferenziali. Più il suono sarà ricco di frequenze acute al proprio interno, meno queste fluttuazioni saranno evidenti, l’eco sarà più stabile e il suono godrà di una costante amplificazione ambientale.

La riflessione delle onde sonore avviene non solo all’esterno, ma anche all’interno del corpo del cantante, il cui tratto vocale è il primo ambiente dotato di pareti con cui il suono entra in contatto e in cui il suono ‘echeggia’ come se esso fosse pieno di specchi.

La stabilità nella forma e nelle proprietà delle pareti interne è dunque il primo presupposto per la stabilità nella forma e nelle proprietà del suono, per quella omogeneità timbrica così venerata, che verrebbe notevolmente perturbata dal continuo modificarsi del tratto vocale, dovuto per esempio ai movimenti compensatori per il raggiungimento delle note acute o per l’articolazione sillabica.

Risonanza e trascinamento

La fisica acustica definisce la risonanza come la partecipazione, da parte di un sistema atto a vibrare, al moto vibratorio generato da un altro sistema. Si ha quindi un fenomeno di risonanza quando uno strumento entra in vibrazione nel momento in cui di fronte ad esso viene suonata una nota (o un armonico) di uguale frequenza. È però noto come la presenza di oggetti all’interno degli spazi abbia il potere di smorzare l’attitudine risonatoria di uno spazio, dovuto principalmente alle loro proprietà assorbenti. Dobbiamo quindi innanzitutto imparare a distinguere la risonanza dello spazio, data principalmente dalla sua forma e dimensioni, dalla risonanza della materia che costituisce le pareti di quello spazio o degli oggetti contenuti al suo interno.

Generalmente nel mondo dell’esecuzione musicale si concepisce quasi esclusivamente il primo concetto di risonanza, quello determinato dallo spazio vuoto, mentre il secondo sembra interessare maggiormente chi si occupa di ingegneria acustica o di scienze dei materiali. In realtà per il suono l’aria di uno spazio vuoto è solo uno dei suoi mezzi di trasmissione e la proprietà delle pareti è decisiva per l’entrata in risonanza.

Riferendoci al corpo del musicista e soprattutto del cantante, esso è la prima istanza con la quale il suono entra in contatto, e la materia solida o liquida nel corpo è di gran lunga superiore all’aria. Dobbiamo perciò imparare ad inglobare nella relazione con il suono tutti i fenomeni acustici prima descritti, in modo da poter veramente distinguere l’entrare in risonanza del corpo (cioè la vibrazione dei tessuti corporei) dai fenomeni di riflessione o di assorbimento. Se il musicista impara a riconoscere e a lasciarsi guidare dall’entrata in risonanza di tutti i propri tessuti, egli sperimenterà la magia di un suono che alimenta sé stesso diventando indipendente dall’energia motoria necessaria per produrlo; tutta la pedagogia della funzionalità vocale può essere riassunta in un lasciare che sempre più elementi entrino in risonanza tra loro, nel corpo e nel suono.

Il trascinamento è un fenomeno affine alla risonanza, che si verifica tra due o più realtà vibratorie quando esse sono quasi nella stessa fase: ogniqualvolta due o più oscillatori che si trovano in uno stesso spazio vibrano ad una frequenza quasi uguale, tenderanno a modificare il proprio moto fino a vibrare esattamente alla stessa frequenza; essi cioè condizionano e stabilizzano reciprocamente le loro fasi. Che ciò avvenga è questione di tempo, ma è un processo inesorabile ed inevitabile. Laddove degli elementi possiedano la capacità di intervenire intenzionalmente nel modificare o bloccare le reazioni, il trascinamento può però avvenire solo faticosamente o avere tempi eccessivamente lunghi. Il trascinamento è un fenomeno universale, che avviene nel campo dei suoni, così come nelle relazioni interpersonali, nella biologia, nelle relazioni tra gli organi e le funzioni del corpo, ad esempio tra battito cardiaco e ritmo respiratorio. Il suo significato è di rendere e mantenere l’organismo al più efficiente livello di organizzazione interna con il minimo dispendio di energia. Il principio del trascinamento è la base fisica della trasformazione.

Nella nostra pedagogia del suono la risonanza e il trascinamento diventano importanti fattori per l’autoregolazione dei sistemi: è il principio attraverso il quale un elemento apparentemente uguale a tutti gli altri, assumendo il ruolo di ordinatore, diventa in grado di ‘attrarre’ nella sua sfera d’influenza tutti gli altri elementi ad esso adiacenti, fino a ‘trascinare’ tutto il sistema in un nuovo, più elevato livello di organizzazione.

Per il musicista, vivere l’esperienza delle reazioni che il suono suscita nel corpo, piuttosto che orientarsi all’azione motoria del suonare e del cantare, può modificare radicalmente la sua relazione con il far musica: egli diventa un corpo ricevente, che viene messo in oscillazione dalle onde sonore che egli stesso ha prodotto.

I parametri del suono

Suono fondamentale, vocale, vibrato e brillantezza sono i costituenti del suono che appaiono nello spettro di analisi delle frequenze. Apparentemente in essi si manifesta la totalità dell’energia sonora; nella realtà percettiva essi sono gli ingredienti principali, ma non unici, del suono, dal momento che altre componenti appaiono nella percezione del suono pur non venendo rilevate dagli strumenti di misurazione. Lo stesso insieme dei quattro ingredienti principali non costituisce una somma; essi possono essere percepiti come elementi distinti o fondersi insieme in un processo quasi alchemico da cui viene generata una nuova sostanza.

Tra i parametri del suono scaturisce una gerarchia dipendente dalla loro capacità o meno di assumere il ruolo di ordinatore nei confronti degli altri parametri e del suono nel suo insieme. Il principio su cui si basa un ordine gerarchico non obbedisce ad un principio morale, bensì alla più efficiente capacità dei livelli superiori di guidare quelli inferiori, ossia di mantenere e sviluppare il sistema nel suo complesso.

Suono fondamentale e vocale: parametri della comunicazione

Il suono fondamentale e la vocale derivano dallo sviluppo delle funzioni cerebrali più recenti (neo-corteccia) e sono strettamente dipendenti dal controllo cosciente. Essi hanno però perso, nella nostra cultura, il contatto con le funzioni più arcaiche e profonde del nostro essere (sistema limbico e tronco cerebrale), da cui sgorgano il vibrato e la brillantezza. Riscoprire e valorizzare la loro natura più profonda permette la fusione con gli altri parametri e l’unità all’interno del suono.

Il suono fondamentale

Il suono fondamentale è il suono parziale più grave dell’insieme di frequenze che costituiscono un suono naturale. La sua frequenza determina la densità degli armonici nello spettro delle frequenze: suoni fondamentali gravi avranno uno spettro di frequenze molto più denso rispetto a suoni fondamentali acuti. Nella percezione del suono ciò provoca una sensazione di maggiore ‘rumorosità’ e ‘corposità’ di un suono grave rispetto ad uno acuto.

Anche per quanto riguarda la nitidezza delle formanti (sia delle vocali che del cantante), i suoni fondamentali gravi permettono una maggiore possibilità di aggregazione dell’energia sonora intorno agli ambiti preferenziali. Il suono fondamentale, proprio a causa del suo permeare tutti gli elementi del suono, è il parametro che più difficilmente affiora nitidamente alla percezione, data anche dalla sua vicinanza con le formanti della vocale. Quando nella vocale dominano le formanti più gravi, la loro caratteristica scura e calda, che spesso si amplia acusticamente fino ad assumere le caratteristiche di una vera e propria ‘sottoformante’, può confondersi, per un orecchio non esperto, con la caratteristica di oscurità e densità del suono fondamentale, soprattutto nelle frequenze gravi. Nella percezione del suono, spesso il suono fondamentale viene identificato e confuso con la nota, la quale è in realtà un parametro percettivo e può essere percepita indipendentemente dalla presenza o meno del suono fondamentale; essa può apparire anche nell’astrazione della brillantezza o nella nitidezza della vocale.

Nella sua natura primaria, il suono fondamentale è legato nel corpo alla natura dei muscoli e dei pacchetti di movimenti, il cui attore muscolare protagonista è il muscolo cricotiroideo (CT) in laringe. Per stimolare il suono fondamentale a passare dalla sua funzione primaria a quella di lusso è necessario sviluppare la componente energetica nel suono e affinare la massa indistinta di armonici permettendo il loro aggregarsi in gruppi autorganizzantesi, ossia nelle formanti.

La vocale

Il tratto vocale si presenta come un filtro nei confronti del suono primario, rinforzando alcune frequenze e smorzandone altre. Tale funzione si manifesta vistosamente nei confronti delle vocali, dal momento che ogni suono vocalico viene determinato da una forma caratteristica assunta dal tratto vocale, strettamente correlata alle abitudini fonatorie e linguistiche del cantante.

Lo strutturarsi delle prime formanti all’interno dello specchio delle frequenze, la loro intensità, collocazione e rapporto reciproco, determina la vocale che viene percepita. Le variazioni nella forma del tratto vocale e nella qualità delle sue pareti determinano l’innumerevole varietà di colori vocalici. Questa estrema variabilità, insieme alla dipendenza della vocale dal contesto socio-culturale in cui si sviluppa la voce parlata, la rendono un parametro estremamente ‘fragile’ all’interno del suono, costantemente sottoposto a perturbazioni. Il tratto vocale stesso diventa per il cantante come uno strumento che cambia continuamente la sua forma, le sue dimensioni e le sue caratteristiche strutturali; diventa cioè ‘inaffidabile’.

Grazie allo sviluppo dei parametri superiori e al rovesciamento delle abitudini articolatorie legate alla lingua parlata, anche la vocale può però venire ‘redenta’ e conferire al suono le sue qualità più preziose: colore, spazio, calore. È solo la vocale infatti a conferire al suono un colore che non sia un semplice chiaro o scuro, a conferire per prima spazio e ariosità alla densità della massa del suono primario, a rendere flessibili, permeabili e indipendenti dalla laringe gli organi del tratto vocale.

Vibrato e brillantezza (energia luminosa): parametri oltre l’umano

Per gli aspetti ‘informativi’del suono, il suono fondamentale e la vocale sono parametri di per sé sufficienti. Qual è quindi il senso dell’esistenza del vibrato e della brillantezza nel suono vocale e strumentale? Il loro significato non può essere né estetico, né acustico, né comunicativo; chi canta rivolgendosi alla natura profonda del suono riconosce l’irresistibile attrazione da essi esercitata nei confronti dell’orecchio e di tutti i tessuti corporei.

Chi sperimenta anche una sola volta nella propria voce la possenza dell’energia sonora dispiegata dalla brillantezza e l’effetto ‘sovvertitore’ del vibrato, non può che reagire o respingendoli come eccessivamente coinvolgenti e intensi, o rimanendone affascinato e soggiogato, riconoscendo cioè in essi in entrambi i casi una natura che va oltre la propria comprensione e volontà. Un vibrato ben organizzato e la brillantezza che si struttura in formanti sono parametri permanentemente presenti nel suono, indipendenti dall’altezza tonale, dalla vocale, dall’intensità o dalla durata. Essi possiedono tutte le caratteristiche per porsi come efficienti ordinatori delle funzioni del suono e del corpo.

Il vibrato

Il vibrato è uno dei parametri qualitativi più elevati della voce cantata, presente naturalmente in tutte le voci, in maniera esplicita o nascosta. La natura non ama ciò che è perfettamente dritto e fermo, ma ama il movimento e l’oscillazione e cerca tutti i modi possibili per poterlo manifestare. In riferimento alla struttura del suono, il vibrato della voce umana viene descritto essenzialmente come un sollevarsi ed abbassarsi periodico della frequenza fondamentale. Date le caratteristiche percettive dell’orecchio umano, tale oscillazione non verrà percepita come una variazione della nota, ma come una sfumatura sonora pulsante all’interno del suono. La frequenza del vibrato si situa in tutte le voci ben sviluppate intorno ai 5 Hz, ed è indipendente da fattori individuali.

Un buon vibrato è acustico, si auto-organizza, è indipendente da un’azione muscolare, spesso non viene nemmeno percepito come tale e non si esibisce sfacciatamente in primo piano. La ‘discrezione’ di un buon vibrato giustifica probabilmente l’assenza di annotazioni a suo riguardo nei trattati antichi. Il vibrato viene però spesso strumentalizzato e sottoposto al dominio muscolare; ciò segnala sempre la compensazione di una deficienza a livello laringeo; in questa relazione distorta esso diventa facilmente pesante e lento (ballamento), o nervoso e isterico (tremolo). Affinché esso possa compiere il salto del collegamento con la brillantezza deve sgravarsi di qualsiasi legame coi muscoli.

Il vibrato è determinate per la percezione delle qualità acustiche di un ambiente e per la portanza della voce, conferisce una maggiore riconoscibilità alle vocali e un’intensificazione della brillantezza. Grazie all’analogia tra la frequenza del vibrato e il ritmo della scansione sillabica, la sua presenza svolge un ruolo psicoacustico di mantenimento e trasmissione dell’informazione testuale anche durante il canto di vocali molto lunghe.

Fisiologicamente il vibrato nasce da oscillazioni ritmiche dell’attività della muscolatura fonatoria, anche se la sua autentica genesi e funzione fisiologica rimane sconosciuta. Appare comunque chiaro che il vibrato segnala la qualità del rapporto tra compressione mediale (forza di chiusura delle corde vocali) e pressione aerea sottoglottica: il vibrato acquista con ciò un forte carattere emozionale, sia registrando che trasmettendo i contenuti emozionali.

La morbidezza e la permeabilità del vibrato sono le qualità che gli permettono di passare attraverso le pareti e modellare gli spazi vuoti, contribuendo ad aumentare il propagarsi dell’oscillazione. Un buon vibrato acquisterà dunque una funzione di automassaggio a livello dei tessuti corporei, in grado di favorire il riassorbimento delle tossine.

Anche lo strumentista deve imparare ad orientarsi al vibrato vocale. La guida motoria per ottenere un vibrato con il proprio strumento produce una qualità completamente diversa rispetto all’orientamento tramite la voce. Fintanto che laringe, tratto vocale, orecchio e mani non vengono messi in connessione, il vibrato rimane un elemento estetico, una aggiunta esteriore che non tocca internamente i sensi e il corpo, né dell’esecutore, né dell’ascoltatore.

L’energia luminosa, la brillantezza e le formanti del cantante

Il termine energia luminosa definisce nel suono una particolare qualità assunta dalle frequenze che si sviluppano nelle zone più acute dello spettro degli armonici, al di là dell’ambito di frequenze delle formanti delle vocali, ossia all’incirca al di sopra dei 2800 Hz. A seconda dell’ambito di frequenze in cui si sviluppa, l’energia luminosa acquista qualità acustiche molto diverse tra loro (rumorosità, stridore, cigolìo, fruscio, sibilo, fischio, squillo, ecc.); tutte possiedono in comune la qualità della chiarezza. Quando questa chiarezza assume una connotazione argentea e cristallina, intensamente luminosa, viene comunemente definita come ‘brillante’, in analogia con le omonime sensazioni visive.

Nello spettro delle frequenze, la brillantezza corrisponde al convergere dell’energia acustica dei singoli armonici in formanti, e più propriamente nelle cosiddette ‘formanti del cantante’. Le formanti non sono in alcun modo da confondere con la percezione distinta dei singoli armonici o con le interferenze acustiche e i rumori che si sviluppano spesso attorno al suono. Esse sono gruppi di armonici contigui che si elevano di intensità. Nel cantante sono conosciute tre formanti, intorno a 3.000 – 5.000 e 8.000 Hz (Rohmert 1991). Altre formanti più acute possono essere osservate in voci particolarmente sviluppate.

Gli ambiti in cui risiedono le formanti del cantante corrispondono alle proporzioni della Sezione Aurea, già descritte da Gisela Rohmert. La brillantezza entra con ciò in un piano fortemente simbolico, in cui non sono tanto i singoli costituenti ad essere significanti, bensì il loro modo di entrare in relazione. Ciò vale per il suono così come per il corpo, dal momento che lo sviluppo delle formanti è legato alla diminuzione della pressione corporea interna e alla creazione di proporzioni di Sezione Aurea anche tra i vari livelli diaframmatici. Chiedersi come sia possibile produrre le formanti è quindi una domanda che non può avere una risposta di causa-effetto; esse possono però venire stimolate attraverso lo sviluppo di energia ad alta frequenza in tutti gli organi e recettori sensoriali del corpo, il cui tramite è l’acquisizione di una sensorialità sinestesica, fine e profonda.

Anche la percezione della brillantezza non può venire affidata ad un organo sensoriale specifico, bensì al fondersi insieme di più modalità sensoriali: le sensazioni di elettricità, di energia luminosa, di ruvidità, rumorosità, ecc. non vengono udite solo dagli orecchi ma vengono vissute da tutto il corpo. La capacità della brillantezza di penetrare la sostanza e i tessuti corporei conferisce sacralità al suono: “E il Verbo si fece carne”.

La presenza di formanti (rappresentate da picchi nella curva di inviluppo) è sempre accompagnata dalla presenza delle ‘valli’, ossia dai gruppi di armonici che si distinguono per la loro netta diminuzione di intensità (smorzamento) o addirittura per la loro ‘assenza’. Nel cammino verso il suono dobbiamo partire dal presupposto che le formanti siano già presenti all’interno del suono, e il nostro lavoro è ‘togliere’, scavare le ‘valli’ all’interno dello spettro di frequenze in modo da lasciarne emergere le ‘montagne’.

Nel suono che impara lentamente a creare il vuoto al proprio interno l’energia luminosa appare nella sua veste più preziosa: essa è la struttura e l’essenza stessa del suono, la cui esperienza non è scindibile da quella dello spazio e del vuoto, che assume le affascinanti caratteristiche di un’energia ‘oscura’. Al multiforme rapporto tra spazio ed energia e al loro profondo significato è necessario dedicare una trattazione apposita.

Concludendo: La pedagogia del cantare un unico suono

La complessità e vastità finora esposta è sviluppabile cantando scale, arpeggi, arie? Gli organi del corpo possono veramente lasciare i modelli abitudinari, possono diminuire la pressione al loro interno, possono vivere un’oscillazione più elevata grazie all’esecuzione di un’aria virtuosistica? Il cammino personale mi ha condotto a lavorare intensamente, lungamente e profondamente intorno ad un unico suono nella tessitura più comoda: al suo interno mi si è rivelato l’intero universo di melodia, ritmo e armonia, da cui scaturiscono tutte le arie, i trilli e le colorature. La musica cessa di mettersi a servizio di una prestazione da rivolgere all’esterno di sé, riacquistando il suo significato di tramite con la propria interiorità. Il suono incomincia ad apparire come un essere, come un’entità.

Nel rivolgerci ad un unico suono noi guadagniamo non solo una diversa percezione spaziale (lo sviluppo degli armonici ‘espande’ il suono), ma anche temporale: nello ‘sprofondare’ in un unico suono usciamo dal rincorrersi del tempo lungo una linea orizzontale che ci ‘spinge’ perennemente in avanti, ed entriamo nello spazio verticale del presente. A questo punto, possiamo anche far musica…

“Voi non venite qui a cantare una nota qualunque. Voi venite qui a cantare la vostra nota. Non è una cosa da niente: è una cosa bellissima. Avere una nota, dico: una nota tutta per sé. Riconoscerla, fra mille, e portarsela dietro, dentro, e addosso. Potete anche non crederci, ma io vi dico che lei respira quando voi respirate, vi aspetta quando dormite, vi segue dovunque andiate… …statemi a sentire… anche se la vita fa un rumore d’inferno affilatevi le orecchie fino a quando arriverete a sentirla e allora tenetevela stretta, non lasciatela scappare più. Portatela con voi, ripetetevela quando lavorate, cantatevela con la testa, lasciate che vi suoni nelle orecchie, e sotto la lingua e nella punta delle dita. E magari anche nei piedi…”

A.Baricco – Castelli di rabbia

Maria Silvia Roveri – dicembre 2006

P.S. Ho conosciuto il termine ‘funzionale’ quasi vent’anni fa, grazie all’incontro con Gisela Rohmert e con l’Istituto di Lichtenberg, in cui si sperimentava ciò che allora veniva denominato Training funzionale della voce (Funktionales Stimmtraining), poi divenuto noto come Metodo Funzionale della Voce ed ora denominato come Fisiologia Vocale Applicata. Questo scritto è una estrema sintesi della prima parte del mio cammino di studio e della mia ricerca intorno al suono e alla voce avvenuta dal 1988 al 2005. Di esso sono debitrice e grata a Gisela Rohmert, delle cui alte intuizioni è profondamente intriso, e a tutti coloro – collaboratori e allievi – che hanno condiviso con me la ricerca.

La Funzionalità Vocale: apparenze o natura profonda?