Perche l’uomo deve cantare

di Maria Silvia Roveri

L’uomo deve cantare, l’uomo vuole cantare, l’uomo canta da sempre. Molti cantanti sono diventati tali perché il cantare è un bisogno esistenziale e vivono il cantare come una questione di vita o di morte. Incontro tante persone che, raggiunta l’età della maturità, sentono di dover soddisfare il sogno, sempre lasciato nel cassetto, o represso brutalmente nella fanciullezza, di imparare a cantare. Per tutti costoro cantare equivale ad iniziare una nuova vita, per alcuni significa nascere veramente solo ora alla vita.

Il suono

In principio erat Verbum, et Verbum erat apud Deum, et Deus erat Verbum.

In principio era il Verbo, e il Verbo era con Dio e il Verbo era Dio.

In principio era il suono. Verbo, vibrazione, parola, Logos, oscillazione: è il nostro inizio.

Conosciamo il suono? Cosa percepiamo del suono, cosa sappiamo dire del suono al di là dell’altezza tonale, della sua durata, della sua intensità, delle grossolane differenze timbriche che distinguono gli strumenti musicali o le voci le une dalle altre? Questo suono da cui è scaturita tutta la Creazione non conterrà dunque in sé tutto il Creato? Come trovare le parole per descrivere il suono?

Ci aiuta molto restringere il campo dell’indagine e chiederci se sia possibile trovare le parole per descrivere la voce umana. Ci aiuta ancora di più considerare l’esistenza dei quattro parametri che condensano in sé tutti gli ‘ingredienti’ del suono umano: suono fondamentale, vocale, vibrato e brillantezza.

Ogni suono possiede un suono fondamentale, ossia un’oscillazione ‘madre’ in grado di generare numerosi ‘figli’, gli armonici. Grazie alla conformazione delle cavità di risonanza e alla natura delle loro pareti, questa più o meno numerosa prole viene smorzata o rinvigorita, creando dei gruppi di armonici che si ‘aggregano’ rinforzandosi a vicenda e smorzandone altri: assistiamo alla nascita delle formanti che ci permettono di riconoscere la presenza di una vocale, assistiamo alla nascita di altre formanti superiori la cui qualità ci permette di riconoscere lo strumento che ha prodotto il suono.

Nel suono vocale queste ultime formanti sono dette formanti del cantante e dispiegano la loro energia in un ambito luminoso e brillante intorno a 3.000, 5.000 ed 8.000 Hz. Qualsiasi suono prodotto naturalmente aborrisce la fissità ed ama il movimento, per cui assistiamo anche nel suono vocale al manifestarsi di una pulsazione autogenerantesi intorno a 5 Hz, definita come vibrato.

Suono fondamentale, vocale, vibrato e brillantezza sono dunque i quattro ingredienti di base di ogni suono ‘integro’. Le relazioni che intercorrono tra questi parametri rispecchiano l’infinita varietà di relazioni che intercorrono non solo tra gli organi del corpo umano, ma tra tutte le sue cellule… La complessità e l’unicità dei suoni che ne scaturiscono rispecchia in minima parte la ricchezza e la complessità del suono primordiale da cui tutto proviene. Rischieremmo di rimanere annichiliti da tanta vastità, se non ci ricordassimo che “Tutto è Uno”, e che anche il suono ha leggi che lo governano e lo conducono ad un’unità nella quale possiamo riconoscere maggiormente le caratteristiche che ci accomunano rispetto a quelle che ci dividono. Il suono fondamentale e la vocale sono infatti parametri nei quali le differenze individuali superano le affinità collettive. Potremmo paragonare la varietà di altezze tonali o di colori vocalici all’infinito numero di punti che compongono un cerchio, o alla linea che congiunge la terra al cielo.

Il vibrato e la brillantezza invece possiedono caratteristiche collettive che li rendono indipendenti da fattori quali l’età, il sesso, l’ambiente socio-culturale di provenienza, la madrelingua, ecc. Essi non vengono appresi, ma appartengono al patrimonio donato all’umanità; il loro sviluppo dipende da processi di autoregolazione, non possono venire ‘insegnati’, ma solo adeguatamente stimolati. Nei confronti del suono fondamentale e della vocale l’uomo sente di poter fare qualcosa sul piano dei muscoli e della propria volontà umana.

Omnia per ipsum facta sunt, et sine ipso factum est nihil, quod factum est

Tutto è stato fatto per mezzo di lui e senza di lui nulla di ciò che esiste è stato fatto.

Nei confronti del vibrato e della brillantezza l’uomo percepisce che il proprio intervento può solo disturbarne la qualità divina e comprende di dover operare una radicale ‘conversione’ della propria disposizione interiore. Nonostante le apparenze, è dall’oscillazione luminosa e pulsante che discende tutta la materia oscillante, le vibrazioni più fini come quelle più grossolane, le frequenze acute come le frequenze gravi, quelle lente come quelle veloci.

L’orecchio

L’orecchio è il meraviglioso organo col quale ascoltiamo il suono. L’orecchio umano, nonostante assomigli all’orecchio di tutti i mammiferi e, nelle sue strutture basilari, all’orecchio delle altre specie viventi, possiede delle caratteristiche uniche che ne fanno lo sposo ideale della laringe che canta.

Composto di tre strutture – orecchio esterno, orecchio medio e orecchio interno – è uno degli organi nei quali il principio della tripartizione, principio di cui la Trinità permea l’universo, è maggiormente visibile. In questa tripartizione esso manifesta anche le tre disposizioni di ascolto dell’uomo: ascolto verso il mondo, ascolto di sé stesso, ascolto rivolto a Dio.

Erat lux vera, quae illuminat omnem hominem, veniens in mundum. Et mundus eum non cognovit, et sui eum non receperunt
Veniva nel mondo la luce vera, quella che illumina ogni uomo, eppure il mondo non lo ha riconosciuto, e i suoi non l’hanno accolto.

Ascoltare è riconoscere, ricevere, accogliere, obbedire (ab-audire): la luce si offre, non si impone. Ascoltare è rinunciare ad emettere, a spingere, a produrre. Quale grazia respingiamo e rifiutiamo nell’immane e incessante sforzo del proiettare all’esterno, in alto e in avanti, la nostra luce personale?

Durante la mia formazione vocale e pedagogica avvenuta molti anni fa in Germania presso l’Istituto di Lichtenberg diretto da Gisela Rohmert, ho appreso come vi sia una straordinaria concordanza tra le frequenze proprie di risonanza delle macro-strutture dell’orecchio e le frequenze delle formanti del cantante a 3.000, 5.000 e 8.000 Hz. Ciò sembra confermare non solo la totale sinergia tra laringe e orecchio, tra voce e udito, ma anche la vocazione propria di ciascuna formante, e quindi di ciascuna struttura dell’orecchio, nei confronti di una relazione rivolta al mondo (3.000 Hz), rivolta alla propria interiorità (5.000 Hz) o rivolta a Dio (8.000 Hz). È da osservare che, mentre la prima formante del cantante può essere ottenuta anche tramite l’aumento della pressione aerea sottoglottica e quindi meccanismi muscolari di spinta, la nascita e lo sviluppo della seconda e della terza formante, dal carattere numinoso, sembra dipendere da rapporti di proporzione aurea nel corpo incompatibili con lo sforzo umano derivante dalla forza dei muscoli e dall’aumento di pressione.

Sul piano simbolico ritroviamo questi tre piani di relazione nella croce che appare nella laringe: nel braccio orizzontale della croce appare l’abbraccio all’umanità, nel suo braccio verticale risiede il rapporto tra l’uomo e Dio. Questa natura spirituale degli ambiti delle tre formanti del cantante non va però intesa in senso isolato: essa esiste solo in quanto le tre formanti sono presenti nella loro unità, così come non esiste alcuna croce con il solo braccio orizzontale o verticale.

La laringe

Se guardiamo alle apparenze dell’organo che ci permette di cantare, la laringe, scorgiamo alcuni validi motivi per ritenere che la laringe non sia affatto un organo adatto per il canto:

  • la sua funzione primaria di protezione delle vie aeree la rende un organo capace di chiudersi saldamente, coadiuvata in questo da un complesso sistema di sfinteri
  • la sua funzione di doppia valvola di regolazione dell’aria in entrata ed uscita la sottopone alla forza della pressione aerea sottoglottica, che tende ad aprire le corde vocali vere e chiudere le corde vocali false proprio nel momento dell’espirazione, ossia nel momento della fonazione
  • la sua innervazione da parte del nervo vago sembra contrastare con il bisogno di prestazione richiesto dalle professioni artistiche
  • l’innervazione del muscolo cricotiroideo, regolante l’altezza tonale, da parte dello stesso ramo del nervo laringeo che innerva i muscoli costrittori della faringe, sembra dissuaderci dalla possibilità di cantare suoni acuti senza ‘strozzature’
  • il suo essere sottoposta alla continua violenza del riflesso della deglutizione e di tanti altri riflessi laringei e respiratori sembra costringerla in una dipendenza senza via di scampo.

L’elenco potrebbe continuare, e con esso troveremmo tante valide giustificazioni a tutti i problemi del canto. Eppure la laringe canta e modula suoni come nessuna altra specie vivente.

Al di sotto delle apparenze di un organo fatto per proteggere c’è un organo creato per il canto:

  • la forza dell’apparato di chiusura viene riequilibrata non solo dalle forze fisiche in atto, ma dalla presenza stessa della vibrazione sonora, che alleggerisce e trasforma l’organo
  • la complessa struttura della mucosa e del legamento, così come la raffinata dotazione muscolare, in grado di modulare con ricchezza di grazia l’oscillazione delle corde vocali, non troverebbero alcuna giustificazione non solo nella funzione di protezione, ma neppure in quella comunicativa della voce parlata
  • la laringe durante l’evoluzione è scesa lungo il tratto vocale liberandosi dalla dipendenza dagli organi digestivi
  • la delicatezza nella capacità di chiusura delle corde vocali è in grado di regolare finemente non solo il fabbisogno d’aria, ma tutta la funzione respiratoria e fonatoria
  • l’innervazione da parte del nervo vago trasferisce la sua regolazione fine al piano dei riflessi e dell’inconscio, in uno stato che nutre la calma e la pace interiore, dalla cui sovranità l’esecuzione musicale ha solo da guadagnare
  • la presenza di una doppia valvola, lungi dal costituire un ostacolo al canto, diventa un preziosissimo fattore non solo funzionale e pedagogico, ma simbolico e spirituale.
  • la ricca dotazione di recettori della muscolatura laringea interna sposta l’attenzione dal raggiungimento delle note acute al piano della qualità della vibrazione dei tessuti
  • la musica stessa è debitrice alla laringe di tanta sua ricchezza espressiva (coloriture, trilli, staccati, legati, glissati, messe di voce, ecc. ), un debito che non sarebbe stato reso possibile senza le sue camaleontiche capacità di oscillazione
  • l’essere al centro di molte funzioni vitali dell’organismo la rende un centro di ricezione, distribuzione e riequilibrio dell’energia.

La laringe è così un organo la cui funzione si estende molto al di là del canto, in una prospettiva evolutiva che abbraccia e comprende in sé non solo il corpo, ma anche la mente, l’anima e lo spirito

Et Verbum caro factum est et habitabit in nobis
E il Verbo si fece carne e venne ad abitare in mezzo a noi

Il tratto vocale: tempio per il suono

Orecchio e laringe si trovano, come due poli che non si oppongono, bensì attraggono e nutrono a vicenda, all’interno di un vasto complesso di strutture ed organi comunemente definito come tratto vocale.

Che il tratto vocale sia il ‘risonatore’ della voce è unanimemente riconosciuto. Da cosa sia composto il tratto vocale, quale sia la sua estensione e il suo reale influsso sul suono vi è molta meno unanimità. Certamente questo diverso modo di considerare il tratto vocale è dato dalla grande diversità tra le voci e quindi delle esperienze personali sia di chi canta, sia di chi insegna, sia di chi indaga la voce con intenti scientifici, ma è dato anche dalla difficoltà di stabilire dei criteri rigidi di classificazione per qualsiasi struttura umana o naturale.

Grazie a Dio, la natura ama la varietà e il creare forme sempre nuove. Se lasciato in balìa di sé stesso però questo principio rischia di diventare un grosso ostacolo allo sviluppo della voce. Per la voce umana, infatti, l’estrema e incostante variabilità della forma nel tratto vocale significa aver a che fare con uno strumento la cui cassa armonica può variare continuamente dimensioni, forma, articolazione interna, struttura e flessibilità, con conseguente diversa prontezza a vibrare, diversa composizione della struttura interna del suono, capacità o meno di propagarsi nel corpo e nello spazio.

Il pericolo opposto risiede nel voler ingabbiare la natura creativa e camaleontica del tratto vocale in pochi schemi rigidi, sia corporei che timbrici. La rete di muscoli di cui è costellato il tratto vocale, molti dei quali soggiacenti alla volontà, sembra favorire questa prospettiva di controllo muscolare. Se però includiamo nel tratto vocale la cavità nasale con i seni paranasali, la trachea e i bronchi, l’orecchio con la rocca petrosa e tutte le altre strutture non cave, ma altamente vocate alla vibrazione, quali i tessuti connettivi, le ossa e le mucose, la possibilità di controllo muscolare della risonanza del tratto vocale cala paurosamente.

Non dobbiamo infatti dimenticare che la nostra immagine del tratto vocale è fortemente condizionata dalla nostra esperienza umana di un suono cantato che si nutre d’aria, ma la natura stessa del suono ama la conduzione attraverso le ossa, i liquidi e le membrane di cui è composto in larga parte il corpo umano. Il suono non è cioè condizionato come l’aria dalla presenza di strutture cave e ama propagarsi in tutte le direzioni, non solo nella via retta anteriore che segue l’aria durante l’espirazione.

È necessaria a questo punto una prospettiva che sia in grado di comprendere in sé, senza nulla escludere, tutto ciò che, proprio come nella cassa armonica di uno strumento, concorre alla formazione e propagazione del suono: forma, materiale, rivestimento, dimensione, tensione dei materiali stessi, umidità, ecc.

La complessità di tutti questi elementi, in cui includiamo laringe, orecchio, ma anche tutti gli altri sistemi di cui parlerò successivamente, ci impone di chiederci quale sia il principio in grado di raccoglierli in sé auto-organizzandoli, senza dunque dover sottostare ad un controllo volontario e analitico che, senza essere in grado di raggiungere lo scopo prefissato, separerebbe le strutture tra loro invece che unificarle.

Un’immagine che può soccorrerci è quella di considerare il tratto vocale come un’architettura in cui le varie parti concorrono all’insieme, ciascuna con le proprie caratteristiche, pur facenti parte in modo indivisibile del tutto.

Le architetture sacre medievali, romaniche e gotiche, ci offrono due prospettive complementari. Nell’architettura romanica, in cui domina il principio della proporzione e dell’equilibrio, troviamo la risposta al bisogno del tratto vocale di venire unificato secondo gli stessi criteri; anche il suono stesso d’altronde si basa su principi di proporzione, equilibrio ed armonia. Considerare le diverse parti del tratto vocale come le diverse strutture di una chiesa romanica ci libera dall’obbligo di una forma-dimensione predeterminata degli spazi, per proiettarci nel regno della proporzione e delle reciproche relazioni.

Nell’architettura gotica irrompono invece i principi della luce, della verticalità e della cesellatura fine. Le pareti e i tessuti del tratto vocale in grado di oscillare ad alte frequenze donano al suono luce, verticalità e un ‘vapore’ sonoro che scompone e cesella la brillantezza, così come le vetrate gotiche, o il moltiplicarsi e il farsi sempre più piccole delle arcate, delle ogive e delle decorazioni, frammentano e scompongono la luce. La vernice di uno Stradivari è in grado di ‘giocare’ con la luce del suono in maniera molto più raffinata della sua forma.

La cavità nasale e le strutture fini della testa

Et lux in tenebris lucet, et tenebrae eam non comprehenderunt
La luce splende nelle tenebre, e le tenebre non l’hanno sopraffatta

Tra tutte le strutture che compongono il tratto vocale, di cui è impossibile parlare in questa sede, vorrei soffermarmi un attimo sulla particolarità della cavità nasale e delle altre strutture fini della testa. La luce è l’oscillazione alla frequenza più elevata di cui l’uomo abbia esperienza sensibile. Le frequenze elevate amano gli spazi piccoli e il microscopico ove possono penetrare e risuonare, amano le membrane sottili, i tessuti tonici che offrono loro il terreno ideale nel quale oscillare, amano la durezza del diamante che le fa risplendere, amano i passaggi angusti e stretti che ne intensificano ed accelerano l’energia.

La testa è costituita in larga parte da spazi piccoli, strutture microscopiche, membrane sottili, tessuti tonici, passaggi angusti e stretti. La rocca petrosa e la mandibola sono ossa molto porose.

La cavità nasale, con tutto l’insieme dei seni paranasali, è composta da miriadi di microcamere nelle quali le frequenze acute, le cui onde sono corte o cortissime, trovano l’ambiente di risonanza ideale. L’osso sfenoide, al centro del cranio, è cesellato come un merletto.

Le membrane meningee, la tenda del cervelletto e della sella turcica, il timpano, la falce cerebrale, il setto nasale, la finestra rotonda e ovale nell’orecchio e altre microstrutture sono tessuti connettivi, spesso molto sottili, che devono le loro funzioni in gran parte alla loro tonicità, fatta di un mirabile equilibrio tra tensione e cedevolezza.

I denti sono i tessuti più duri di tutto il corpo, dunque capaci di vibrare come il cristallo, ma anche la rocca petrosa e la mandibola, con la loro durezza, sono materiali privilegiati per reagire alle elevate frequenze della brillantezza.

Le tube d’Eustachio, il labirinto della cavità nasale, i trafori dell’osso sfenoide, ma anche tutte le valvole create dalla lingua, dal palato, dalle labbra, dall’epiglottide e dalle corde vocali stesse sono naturali acceleratori energetici.

Tutta questa ricchezza di grazia incontra un solo limite: la pressione, che impedisce a qualsiasi tessuto di vibrare. Facciamo quotidianamente esperienza della pressione sia a livello fisico, sotto effetto dell’azione dei muscoli, sia a livello psichico, quando ci sentiamo ‘sotto pressione’, sia a livello emotivo, quando percepiamo le sensazioni di blocco interno dovute a forti emozioni, sia a livello mentale, quando ci sentiamo ‘intasati’ da troppi pensieri. Tornerò successivamente su altre manifestazioni della pressione.

Tratto comune a tutte queste forme è l’effetto nefasto nei confronti del canto e del suono, soprattutto nei confronti delle frequenze acute e della vibrazione dei tessuti più fini e delicati.

La loro capacità di oscillare, proprio perché così raffinata, è altrettanto sensibile nei confronti delle grossolane variazioni che intervengono con attività manipolative del tratto vocale, sia per ottenere determinati effetti sonori, sia per l’articolazione di vocali e consonanti, sia per i modelli individuali di azione dovuti alle molteplici funzioni del tratto vocale: respiratoria, masticatoria, deglutitoria, fonatoria.

Il cammino verso la luce, di cui le strutture superiori della testa sono le principali porte e guide, non può essere disgiunto dal cammino verso la diminuzione di tutte le forme di pressione interna.

La respirazione

Incontriamo a questo punto un tema scottante e spesso frustrante per tutti coloro che cantano o suonano uno strumento a fiato: la respirazione. Tutti riconoscono la dipendenza del suono cantato da un mantice che nutre d’aria le corde vocali oscillanti, ma i modi di relazionarsi con la respirazione, e quale sia veramente il suo ruolo nei confronti del canto e del suono spalanca una miriade di diverse considerazioni e conseguenti modalità d’azione.

Tutti riconoscono che il disagio nei confronti della respirazione nasce innanzitutto dalla grande difficoltà di osservarla senza che essa immediatamente non si senta osservata, modificando di conseguenza il proprio decorso e togliendogli esattamente quella spontaneità che si sarebbe voluta osservare.

Proprio come una particella subatomica, che nell’osservazione da parte dello scienziato si trasforma immediatamente in onda di probabilità, anche la respirazione sembra voler mantenere il suo carattere numinoso nascondendosi alla percezione.

La duplice innervazione della muscolatura respiratoria da parte della corteccia e del tronco cerebrale la rende sia parzialmente volontaria, sia involontaria. L’unico momento in cui essa è totalmente involontaria è quando dormiamo, quando non la osserviamo o quando reagisce a modificazioni del nostro stato fisico, mentale e psichico.

Poter osservare la respirazione nel suo decorso più spontaneo è possibile solo dopo una lenta e paziente disciplina che coinvolga non solo la respirazione, ma che ci porti ad una relazione globale di distacco e neutralità nell’osservazione di noi stessi.

D’altra parte, il controllo volontario della respirazione è destinato a rimanere molto grossolano, potendosi rivolgere prevalentemente alla muscolatura respiratoria ausiliaria, scarsamente dotata di fusi neuromuscolari, quindi incapace di attuare quelle fini regolazioni di cui necessita la delicata oscillazione laringea, la vera valvola respiratoria.

La relazione con la respirazione cambia radicalmente se, invece che dedicarci al movimento respiratorio, ci rivolgiamo al mezzo veicolato dalla respirazione: l’aria.

L’aria rappresenta la materia nella sua forma più sottile, quindi più vicina alla apparente immaterialità della luce e del suono stesso. Considerare la respirazione partendo dalla natura dell’aria conduce qualsiasi funzione al piano dell’oscillazione e della vibrazione, liberandoci dalla costrizione e dalla pressione.

Quotquot autem receperunt eum, dedit eis potestatem filios Dei fieri
A quanti però l’hanno accolto ha dato il potere di diventare figli di Dio

La respirazione è la funzione più vitale di tutto l’organismo: cambiare il rapporto con la respirazione significa cambiare il rapporto con la vita in noi.

Ricevere e accogliere l’aria e il suono che entrano significa accettare il cambiamento. Cambiamento è rovesciamento, cambiamento è trasformazione, cambiamento è conversione. Liberare la respirazione significa rinunciare a manipolare la respirazione. Liberare la respirazione significa convertirci ad un aumento di vita in noi. L’esperienza del venire respirati è una benedizione senza fine.

Sistema nervoso e sensorialità

Abbiamo più volte, nel corso di questa conferenza, accennato all’innervazione degli organi come fattore determinante per il loro funzionamento. Il motivo è chiaro: tutto ciò che accade nel nostro corpo accade attraverso una regolazione nervosa, sia che si tratti di considerare le fibre efferenti, quelle cioè che portano i comandi dal centro verso la periferia, dette anche fibre motorie, sia quelle afferenti, che dalla periferia conducono informazioni al sistema nervoso centrale, dette anche sensitive. Gli organi sono gli esecutori, il sistema nervoso è la centrale di comando.

Nella nostra concezione comune, cadiamo facilmente nella tentazione di considerare con sufficienza tutto ciò che, nel nostro sistema nervoso, viene regolato dal sistema vegetativo e dalle strutture cerebrali più profonde, che consideriamo come ‘istintive’, intrise di pulsioni, incapaci di controllo, che ci accomunano con tutte le altre specie animali e che sembrano avere il solo compito di mantenerci in vita. Di fronte ad esse siamo in realtà così impotenti e disarmati, che il nostro trattarle con sufficienza nasconde probabilmente la paura inconscia che esse possano abbandonarci o agire contro la nostra volontà. Abbiamo all’opposto la tendenza a divinizzare le funzioni della corteccia cerebrale che ci caratterizza come uomini e che ha permesso alla specie umana di sviluppare abilità e invenzioni non raggiunte da nessuna altra specie animale.

Lo squilibrio insito in queste convinzioni si rivela in tutta la sua drammaticità, per esempio, nel momento di una catastrofe naturale: l’uomo che è in grado di raggiungere la luna entra nel panico quando, nella vita quotidiana, gli viene a mancare anche solo l’energia elettrica. Tutto il patrimonio istintuale che gli permetterebbe di sapersela cavare in quasi qualsiasi situazione è stato talmente soffocato dalla mente illuminista, razionale, analitica e deduttiva, da lasciar emergere tutta la fragilità e debolezza umane. L’uomo, che da sempre cerca di elevare torri che raggiungano il cielo, si trova improvvisamente abbattuto a terra.

Cosa c’entra tutto ciò con il canto? Le conseguenze sono sia di sostanza che di metodo.

La prevalenza di un’innervazione da parte del sistema nervoso autonomo in tutti gli organi importanti per il canto, unita alla ricchissima attrezzatura recettoriale degli stessi, a cui si aggiunge la loro piccola dimensione e il loro essere ‘nascosti’ all’interno del corpo, dunque invisibili ad un’osservazione o manipolazione esterna, determina il netto prevalere delle funzioni sensoriali rispetto a quelle motorie, che si presentano dunque come esecutori e trasmettitori delle sensazioni ricevute.

Pedagogicamente, la guida dei processi del canto dovrà necessariamente diventare una guida sensoriale, che educhi lentamente il corpo a sentire e a spalancare la porta di fronte a quanto ricevuto, imparando, sempre lentamente, a distinguere la qualità sia delle sensazioni ricevute, sia delle reazioni ad esse.

La qualità del suono e le sensazioni corporee danno costantemente informazioni circa la qualità dei processi in corso. Diventa chiara la necessità di una percezione sempre più sensibile, unita alla crescente consapevolezza del necessario orientamento verso la luce e le strutture più elevate del suono.

La natura oscillatoria di tutti gli organi sensoriali e dunque la loro straordinaria affinità con il suono, insieme al loro venire unificati nelle strutture cerebrali più profonde, li rende degli straordinari strumenti pedagogici, sia per il canto che per la vita stessa.

Il canto: una relazione d’amore

Parlando del sistema nervoso non possiamo non accennare all’importanza del canto per l’equilibrio del sistema limbico, sede cerebrale delle emozioni e delle relazioni tra gli esseri viventi. L’uomo vuole cantare perché vuole amare. Il bisogno di amare ed essere amati è un bisogno vitale tanto quanto la luce, l’aria, il cibo, l’acqua. La mancanza di amore ricevuto pregiudica la nostra capacità di amare. Nel contatto tra le corde vocali viviamo una simbiosi d’amore all’interno di noi stessi. Il modo con cui le corde vocali si toccano può sanare tutti i contatti che abbiamo intessuto, che intessiamo e che intesseremo. Attraverso l’attenzione e la dedizione a questo contatto possiamo imparare ad amare sempre più intensamente noi stessi e il nostro prossimo.

Nel suono questa relazione d’amore si manifesta innanzitutto nella qualità del vibrato. Questo parametro, ancora poco conosciuto nella sua genesi, rivela il rapporto esistente tra la pressione d’aria al di sotto della glottide e la forza di chiusura delle corde vocali.

Il ‘nodo in gola’ che le emozioni violente provocano scaturisce da un’eccessiva forza di chiusura, che stimola a sua volta un aumento della pressione al di sotto della glottide. Tra le corde vocali nasce un combattimento, uno scontro, un confronto aspro al posto di una relazione delicata ed amorevole.

Un’eccessiva disposizione di apertura, al contrario, impedisce un’adeguata chiusura della glottide e favorisce la conseguente mancanza di contatto. Le cause possono anche essere diverse, ma in tutte c’è la paura del contatto e della relazione. Il suono può apparire morbido, ma la fuga d’aria tra le corde vocali segnala: “non mi toccare, non voglio essere toccato”. Spesso viene accompagnata dalla contraddizione di un’apparente cedevolezza e disponibilità esterna al contatto, a cui corrisponde un’elevata pressione interna che in realtà lo respinge.

In entrambe queste disposizioni di base, con tutte le loro variabili intermedie, soffre sia chi canta, sia chi ascolta. Il vibrato registra e comunica all’esterno il travaglio interiore nella relazione. L’enorme sensibilità del vibrato ai vissuti emozionali e la sua conseguente mutevolezza giustificano il rifiuto, per lo più inconscio, che molte persone, soprattutto i bambini, hanno nei suoi confronti.

Et de plenitudine eius nos omnes accepimus, et gratia pro gratia;
Dalla sua pienezza noi tutti abbiamo ricevuto: grazia su grazia.

Abbiamo bisogno d’amore, cerchiamo amore.

La presenza del vibrato nel suono vocale, per quanto sofferente esso sia, regala briciole d’amore alle nostre anime e corpi assetati. La nostra dedizione ad un equilibrio sempre più elevato nel corpo e nel suono, regala pace al sistema limbico, quiete alle nostre emozioni più violente, grazia su grazia.

La sete spirituale

In principio erat Verbum et Deus erat Verbum.

Il bisogno di amare ed essere amati non è altro che il sintomo più manifesto della sete di Dio e del Suo amore divino. Attraverso il canto l’uomo cerca Dio e cerca quell’unità con il Verbo che era al principio di tutti i tempi. Il nostro tratto vocale, la nostra laringe, tutto il nostro corpo è coniato da simboli di quest’unione primigenia con Dio. Il cantare è permeato dalla profonda nostalgia di essa. Comprendiamo così la questione di vita o di morte che il cantare rappresenta per molti cantanti e semplici uomini e donne. Nessuna altra arte è praticata così diffusamente, a livello professionale o amatoriale, come il canto.

Attraverso il canto, vivo il regno delle frequenze acute, della luce e della natura soprasensibile di Dio. Attraverso il canto, vivo le profondità del tronco cerebrale, dell’inconscio e della relazione ultraterrena con Dio. Attraverso il canto, vivo stati meditativi e contemplativi che non annullano la realtà terrena, ma la trasformano facendole pregustare la beatitudine di una realtà celeste in cui il tempo e lo spazio cessano di dettare le loro tiranniche leggi.

In ipso vita erat, et vita erat lux hominum
In lui era la vita e la vita era la luce degli uomini

Suono, luce e vita, l’uomo ha bisogno del suono come ha bisogno della luce del sole. L’uomo ha bisogno di cantare perché l’uomo vuole vivere.

A tutti coloro che cantano, che desiderano cantare, che sentono di dover cantare nella loro vita, auguro di poter incominciare, hic et nunc, qui ed ora, una nuova vita.

(Ringraziamo l’associazione Voce Mea per la gentile concessione delle figure pubblicate in questa relazione e tratte dal libro di Miriam Jesi “La laringe umana” – Ed. Tiziano)
Perche l’uomo deve cantare